IL GIUDICE DI PACE

    Ha  pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta
al n. 1285/A/03 R.G., promossa da Azuozi Mohammed, residente a Cesena
(FC) in via XXV aprile n. 249, ricorrente.
    Contro Prefetto di Forli' - Cesena, resistente.
    In punto A: opposizione a sanzione amministrativa.
    Conclusioni del ricorrente: «chiedo alla S.V. di potere annullare
questa  sanzione  in  quanto  il sottoscritto, pur ammettendo di aver
violato  per  qualche minuto il Codice per grave stato di necessita',
e' in gravi condizioni economiche ... non posso nemmeno effettuare il
deposito  cauzionale  per  inoltrare il ricorso e per questo richiedo
che  comunque io possa depositare questo ricorso in virtu' della nota
del  31  ottobre  2003  del  Ministero  della  giustizia  - Direzione
generale della giustizia civile».

                              F a t t o

    Con  atto  del  ricorso avanti l'intestato Ufficio del giudice di
pace,  il  sig.  Azouzi  Mohammed di persona, esponeva che in data 15
dicembre  2003 gli era stata contestata una contravvenzione per avere
sostato in divieto di fermata.
    Contestandone   l'infondatezza  sia  in  fatto  che  in  diritto,
specificava  che l'impugnazione di essa gli era impossibile in quanto
la presentazione della relativa opposizione comporta il versamento di
un  poderosissimo deposito cauzionale, notevolmente al di fuori della
portata economica della ricorrente di scarsissime risorse economiche.
    In  virtu',  quindi, della nota del 31 ottobre 2003 del Ministero
della  giustizia  -  Direzione  generale  della  giustizia  civile -,
formulava  l'istanza  di inoltro dell'impugnazione nonostante il veto
di  improcedibilita'  dell'impugnazione di che trattasi in carenza di
versamento.
    Concludeva, quindi, come sopra riportato.

                            D i r i t t o

    Esaminati  gli  atti,  questo  giudice  rileva come il ricorso in
opposizione   a  sanzione  amministrativa  sia  stato  depositato  in
cancelleria  in  data  22 dicembre 2003 senza il versamento presso la
cancelleria  del  giudice  di  pace  di Cesena della somma richiesta,
ovvero  pari  alla meta' del massimo edittale della sanzione inflitta
dall'organo accertatore.
    Tale  obbligo,  previsto  a pena di inammissibilita' del ricorso,
scaturisce  dall'art. 204-bis  del decreto legislativo 30 aprile 1992
n. 285,   introdotto  dalla  legge  1°  agosto  2003  n. 214  che  ha
convertito  in  legge,  con modificazioni, il decreto legge 27 giugno
2003 n. 151.
    Detta  legge,  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale n. 186 del 12
agosto  2003 - Suppl. Ordinario n. 133 e' entrata in vigore il giorno
successivo  a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
e,  pertanto, nel caso che ci occupa, doveva essere osservata sebbene
contrastante con l'art. 4 del r. d. 10 marzo 1910 n. 149, tutt'ora in
vigore,  che  espressamente prevede che le cancellerie non possono in
alcun modo ricevere versamenti in denaro.
    Questo giudice ritiene che l'art. 203-bis del decreto legislativo
30  aprile  1992 n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto 2003 n. 214
che  ha  convertito  in legge, con modificazioni, il decreto legge 27
giugno  2003  n. 151  non  sia  conforme  a  Costituzione  ed intende
pertanto   sollevare,   come   in   effetti   solleva,  incidente  di
costituzionalita' nei termini che seguono.
                  Sulla rilevanza della questione.
    Nei  caso  che ci occupa il collegamento giuridico, e non gia' di
mero   fatto,   tra   la   res   giudicando   e   la  norma  ritenuta
incostituzionale, appare del tutto evidente.
    Difatti,  ove si ritenesse l'art. 204-bis del decreto legislativo
30  aprile  1992 n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto 2003 n. 214
che  ha  convertito  in legge, con modificazioni, il decreto legge 27
giugno  2003  n. 151  conforme  a  costituzione,  il ricorso andrebbe
dichiarato  inammissibile  mentre  ove,  per  contro, si ritenesse il
predetto  disposto  in  contrasto  con  la  Costituzione  la suddetta
opposizione dovra' essere esaminata nel merito.
                  Sulla non manifesta infondatezza.
    Violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione.
    Per  ritenere  l'art. 204-bis  del  decreto legislativo 30 aprile
1992  n. 285,  introdotto  dalla  legge  1° agosto 2003 n. 214 che ha
convertito  in  legge,  con modificazioni, il decreto legge 27 giugno
2003  n. 151  conforme  a  Costituzione occorrerebbe affermare che la
diversa  posizione  che  il  legislatore  ha  riservato a cittadino e
pubblica  Amministrazione, oltre che a cittadino abbiente e cittadino
non abbiente, non violi alcun precetto costituzionale.
    Tale  assunto, tuttavia, non viene condiviso da questo giudice in
quanto   la   normativa   in  parola  lede  il  diritto  fondamentale
dell'individuo  espressamente tutelato dall'art. 3 della Costituzione
della Repubblica italiana, ponendo i soggetti abbienti e non abbienti
su  un piano di disuguaglianza fra loro permettendo esclusivamente al
soggetto  che  sia  in  possesso  di  una somma di denaro addirittura
doppia  rispetto  a  quella  che  gli  consentirebbe  di  definire la
pendenza  mediante  pagamento in misura ridotta, di potere tutelare i
propri diritti proponendo ricorso ai giudice di pace.
    Ne'  e'  sostenibile la tesi che al soggetto non abbiente sarebbe
comunque  possibile  presentare  ricorso  al  Prefetto in quanto tale
procedura non prevede il versamento di alcuna cauzione, sia in quanto
a  maggior  ragione cio' evidenzierebbe come il ricorso al giudice di
pace si trasformerebbe in un mezzo di tutela riservato esclusivamente
a soggetti facoltosi, sia in quanto la scelta della sede ove tutelare
i  propri diritti distinguerebbe o meglio discriminerebbe i cittadini
sul  piano  economico  e  sociale  limitando  di  fatto la liberta' e
l'uguaglianza degli stessi.
    Del  tutto  evidente, alla luce di quanto sopra, come il disposto
che  questo giudice ritiene incostituzionale si presti a tele censura
in  quanto  l'art. 3  della  Costituzione  della  Repubblica italiana
prevede  che  compito della Repubblica e' rimuovere, non gia' creare,
ostacoli  di  ordine  economico  e sociale che, limitando di fatto la
liberta' e l'uguaglianza dei cittadini, impediscano il pieno sviluppo
della persona umana.
    Peraltro,  il disposto della cui costituzionalita' si dubita lede
altresi'  l'art. 2 della Costituzione che sancisce il valore assoluto
della   persona   umana,  frustrando  uno  dei  diritti  fondamentali
dell'individuo.
    Violazione dell'art. 24 della Costituzione.
    L'ingiustificato  ostacolo  imposto per la tutela dei diritti del
cittadino  nella  sola  sede  giurisdizionale contrasta con l'art. 24
della  Costituzione  il quale espressamente prevede che tutti possano
agire  in  giudizio  per  la  tutela  dei propri diritti ed interessi
legittimi ed aggiunge che la difesa e' un diritto inviolabile in ogni
stato e grado del procedimento.
    La  sola lettura della norma costituzionale fa apparire palese il
netto   contrasto  di  quest'ultima  con  l'art. 24-bis  del  decreto
legislativo  30  aprile 1992 n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto
2003 n. 214 che ha convertito in legge, con modificazioni, il decreto
legge 27 giugno 2003 n. 151.
    Infatti, l'imposizione del versamento della cauzione previsto per
la  tutela dei diritti del ricorrente nella sola sede giurisdizionale
oltre a rappresentare un ingiustificato, quanto un ingiusto vantaggio
per  l'Amministrazione  opposta  che, a differenza dell'opponente, in
caso  di  vittoria  ha  immediatamente  a propria disposizione quanto
eventualmente  dovuto,  non  assicura  la  possibilita'  di  agire in
giudizio  per  la  tutela dei propri diritti ed interessi legittimi a
coloro i quali non dispongono di una sufficiente agiatezza economica,
in tal modo ledendo gravemente il diritto di difesa.
    Peraltro,  e' indubbio che l'art. 204-bis del decreto legislativo
30  aprile  1992 n. 285, introdotto dalla legge 1° agosto 2003 n. 241
che  ha  convertito  in legge, con modificazioni, il decreto legge 27
giugno  2003 n. 151 nell'indurre il ricorrente, di fatto, a desistere
dal  tutelare  i  propri  diritti  in sede giurisdizionale, scoraggia
l'unico  mezzo  di  tutela che quest'ultimo ha a propria disposizione
soggetto  al  principio  della  soccombenza,  costringendo o comunque
inducendo  i  meno  facoltosi a presentare ricorso al Prefetto per la
tutela  dei  propri  diritti,  sede  in  cui  in caso di accoglimento
dell'opposizione  il  ricorrente  non  viene  affatto rifuso non solo
delle    eventuali   spese   sostenute   per   l'assistenza   di   un
professionista, ma neppure delle spese vive sostenute.